La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta sulla controversa questione della retroattività delle leggi in materia di responsabilità sanitaria per sancire un principio risolutivo dei precedenti contrasti giurisprudenziali relativi alla qualificazione della responsabilità del medico, come contrattuale o extracontrattuale, con le relative conseguenze in termini di onere probatorio e prescrizione.

In tale contesto si inserisce, da ultimo, la Legge n. 24/2017, denominata Legge Gelli-Bianco, entrata in vigore il 01.04.2017, che presenta profili di innovatività in ordine alla natura della responsabilità del personale sanitario, il quale, nel nuovo sistema, risponde a titolo extracontrattuale, allineandosi, invece, per quanto concerne quella della struttura sanitaria, alla precedente giurisprudenza di legittimità, per cui questa risponde a titolo di responsabilità contrattuale.

L’art. 7, comma 3, parte prima della citata Legge n. 24/2017, infatti, qualifica quella del medico in termini di responsabilità extracontrattuale, prevedendo espressamente che “l’esercente della professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”.

Da qui la “quaestio juris” al centro della pronuncia della Cassazione civile, Sez. III, che con la sentenza n. 28994 dell’11.11.2019, nell’affrontare la natura e il regime della responsabilità medico-sanitaria successiva alla riforma del 2017, assume quale punto di osservazione e di analisi quello, particolarmente spinoso, del diritto intertemporale, fornendo una soluzione che appare in linea con i principi generali dell’ordinamento giuridico e della Carta costituzionale.

La pronuncia in commento, dopo aver ricostruito gli attuali orientamenti giurisprudenziali sul punto, attraverso un articolato iter logico-motivazionale, che dà conto anche dello stato della legislazione in materia con riferimento alla cd. Legge Balduzzi, aderisce all’indirizzo interpretativo espresso dai giudici di merito,affermando il principio di diritto per cui le norme sostanziali contenute nella Legge n. 189/2012, al pari di quelle contenute nella Legge n. 24/2017, non hanno portata retroattiva e non possono applicarsi ai fatti avvenuti in epoca antecedente alla loro entrata in vigore.

A tale esito ermeneutico i giudici di legittimità pervengono facendo applicazione dei consolidati principi espressi dalla Corte Costituzionale, che ha posto chiari limiti al legislatore ordinario nell’emanare leggi retroattive, attinenti alla salvaguardia del principio di ragionevolezza e di eguaglianza, alla tutela dell’affidamento e al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, nonché di quelli affermati dalla stessa Corte di Cassazione, che ha sancito che “il principio della irretroattività della legge comporta che la nuova norma non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatesi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso, sicchè la disciplina sopravvenuta è invece applicabile ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o venute in essere alla data della sua entrata in vigore, ancorchè conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai nuovi fini, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi dal collegamento con il fatto che li ha generati.”

Orientamento pure supportato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo quello per cui il legislatore può emanare norme retroattive a condizione che ciò non metta in discussione, nel suo nucleo essenziale ed irriducibile, la tutela costituzionale che il rapporto stesso riceve in ragione del suo carattere fenomenologico, ovvero dei beni che esso abbia ad oggetto.

 

In conclusione si esclude che la qualificazione legislativa delle condotte determinanti la responsabilità sanitaria, operata, in astratta ipotesi, dalla legge Balduzzi del 2012 e in concreto da quella Gelli-Bianco del 2017, possa avere effetti retroattivi, peraltro in mancanza di disposizioni esplicite di retroattività e di norme transitorie al riguardo.

Secondo la pronuncia della Cassazione, la legge n. 24 del 2017, ha operato in via immediata e diretta la qualificazione giuridica dei rapporti inerenti ai titoli di responsabilità civile riguardanti sia la struttura sanitaria che l’esercente la professione sanitaria, in discontinuità rispetto al “diritto vivente” che aveva qualificato, sin dal 1999, come avente natura contrattuale la responsabilità del medico.

In sintesi, le norme sostanziali contenute nelle due leggi non hanno quindi portata retroattiva e non possono applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore, pertanto, nella fattispecie in esame, il medico risponderà a titolo di responsabilità contrattuale (“Contatto sociale”) e non a titolo di responsabilità extracontrattuale (“Aquiliana”), ex art. 2043 del codice civile.

LA SENTENZA